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Antichi maestri

di Thomas Bernhard (Autore), A. Ruchat (Traduttore)
Leggere questo libro è come fare un viaggio in metro nell’ora di punta, la calca diventa così opprimente che ti sembra di non poter sopravvivere a un’altra fermata. Speri che il macchinista tiri dritto e giunga in fretta a destinazione.
Una mescolanza nauseabonda e asfissiante di tanta, troppa, umanità.
Poi finalmente le porte si aprono e sei libero da tutta quella calca, e sei fuori in quel mondo così malconcio ma al contempo così normale che la sua ipocrisia, meschinità e marcio narcisismo ti sembra profumino di buono.
Un getto di parole lungo 200 pagine senza mai una interruzione o una interlinea a capo.
Una continua e incessante denuncia: arte, musica, istruzione, istituzioni, poesia, giornalismo, cultura ma anche famiglia, libertà, patria, silenzio, conversazione, degrado, solitudine, umanità. Tutto.
Un delirante delirio che si sviluppa con una monotonicità e una ripetitività così maniacale e soffocante che ti senti pressato come in un sottovuoto. Tutto a rotazione viene passato “sul banco degli imputati” davanti all’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto e criticato e giudicato senza pietà.
Come se la nostra vita si svolgesse sul palcoscenico abominevole del mondo. A un certo punto colgo l’unica e sola frase per cui vale DAVVERO la pena leggerlo tutto senza perderne una sola parola:

… ogni cosa ci appare rassicurante, sebbene ogni cosa si assottigli col passare del tempo

Prima di tornare a Bernhard per un po’ mi limiterò a leggere un Topolino.

Maruska Veronelli

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