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I bambini di Svevia

di Romina Casagrande –
La storia …quella che noi conosciamo, è un intersecarsi di vite che iniziano e finiscono, un arazzo composto da una moltitudine di  fili colorati che annodati, creano figure sulle quali il nostro sguardo si posa ammirato.
Il resto dei fili fa da  sfondo, come le vite di chi non ha voluto o non ha potuto raccontare e talvolta rimane nell’oblio.
E appare Edna, un ‘anziana signora ultraottantenne, Emil il suo pappagallo, la sua  casa avvinta dai rampicanti e il profumo inconfondibile di erbe aromatiche, resina e fiori di montagna del Trentino.
Un’ immagine che parrebbe molto rasserenante.
In effetti come per molti anziani la quotidianità di Edna è fatta di piccole abitudini, vecchi ricordi, una scatola di biscotti al burro, il suo  giardino da curare e una foto ingiallita che mostra un bambino, una bambina e un pappagallo.
Tutto sarebbe rimasto chiuso  in uno  scrigno senza chiave se  Edna non avesse notato sulla rivista Stern (settimanale tedesco), la foto di Jacob con tanto di nome e cognome in calce, sopravvissuto  ad una tragedia a  Ravensburg, ma purtroppo gravemente ferito.
La  vista le si annebbia, sente il  cuore pulsare nelle tempie , i loro sguardi si erano incrociati per l’ultima volta  quando erano poco più che bambini.
Lei sa di avere con lui qualcosa in sospeso…
A questo punto si sviluppano due racconti paralleli, uno un po’ grottesco che è il viaggio di Edna, che partirà a piedi con Emil alla ricerca di Jacob, una sorta di pellegrinaggio un po’ folle, che la porterà a conoscere un mondo che per troppo tempo aveva deciso di lasciare fuori dalla  porta di casa e  che nel frattempo sembrava essere stato stravolto.
I suoi incontri la arricchiranno, aiutandola a prendere coscienza della nuova realtà e a riflettere sull’ importanza dell’ empatia e il valore del libero arbitrio.
L’altro racconto è il viaggio nei suoi  ricordi, in un periodo della sua infanzia  troppo doloroso da poter raccontare ma per lei impossibile da dimenticare.
Un pretesto per dare voce ad una realtà  storica della quale si sa troppo poco o addirittura nulla, la “vendita” dei bambini che si è svolta tra il diciassettesimo  e la metà del diciannovesimo secolo nei mercati di Svevia, una regione della Germania che ospitava ricche fattorie.
Famiglie di  contadini devastati dalla povertà nel Sud Tirolo o Svizzera, non riuscendo più a sfamare tutti i figli  li “impiegava” come braccianti, allevatori di bestiame o per lavori domestici tra inizio marzo e fine ottobre, nelle ricche fattorie Bavaresi, in cambio di pochi spiccioli, qualche capo di abbigliamento e poco cibo, sperando di dare loro un minimo di conforto.
Alcuni di loro trovavano posto in case confortevoli con  famiglie che oltre a farli lavorare si prendevano cura di loro e li nutrivano ,altri venivano maltrattati , schiavizzati e subivano le più crudeli forme di violenza.
Spesso sparivano nel nulla lasciando accanto ai loro lettini i pochi  oggetti prelevati da casa e  gelosamente custoditi.
Jacob ed Edna erano stati due tra i tanti bambini sfortunati che avevano intrapreso questo lungo e tortuoso viaggio dalla Val Venosta a Ravensburg attraversando a piedi le montagne per finire stremati  nelle mani di spietati aguzzini , senza ne’ anima ne’ valori, che si compiacevano delle loro crudeltà sfruttandoli come bestie.
Il loro legame non poteva essere definito con un nome come  affetto, amicizia, amore.
Il loro è stato un un intreccio di anime torturate, di dolori condivisi,  di ferite nascoste per non uccidere la speranza.
La loro complicità celata dava ad ogni piccolo gesto un valore inestimabile.
La fuga  pianificata da Jacob nei minimi dettagli doveva mettere fine a tutto quell’ orrore, ma qualcosa non era andato secondo i piani e Jacob era stato  catturato regalando la libertà ad Edna  ma  lasciando in lei un vuoto incolmabile, un  grande senso di colpa ed un  macigno troppo pesante da trasportare da sola.
Accudire amorevolmente il  pappagallo che era stato  addestrato da Jacob  quando era  nella fattoria era stato per Edna l’unico modo per dimostrare la sua gratitudine verso di lui.
Coraggio, speranza, memoria, promessa, lealtà sono il cuore pulsante del racconto.
Mille sono le emozioni che mi ha regalato questo libro tra la consapevolezza sempre più forte che gli anziani sono uno dei più grandi patrimoni che abbiamo, imparare ad ascoltarli può essere  un grande regalo che facciamo a loro ma soprattutto a noi stessi.

Chiara Conte

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