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Una questione di potere

di Bessie Head –
Nello scrivere queste mie impressioni vorrei al contempo non solo raccontarvi che cosa è stata per me la lettura di “Una questione di potere” di Bessie Head, la quale fu «una delle massime voci della narrativa sudafricana» e questa sua opera una «tormentata e discussa autobiografia», come recita la quarta di copertina, ma vorrei cercare di mettere pure un po’ di ordine nella mia testa. Sì, perché questa «autobiografia» è di una donna, «meticcia», esule – dal Sudafrica fu costretta a spostarsi in Botswana – e affetta da un disturbo psichico che la portò ad avere deliri e allucinazioni. Ora, la mente frammentata di Elizabeth – questo il personaggio che “rappresenta” Bessie Head nell’opera– si manifesta nelle pagine di “Una questione di potere” dispiegandosi attraverso gli scambi tra lei e le sue allucinazioni – due uomini, soprattutto: Sello e Dan – che non sono caratterizzati dalla coerenza, al contrario, sembrano essere, all’apparenza, pezzi di un puzzle che sono solo giustapposti l’uno accanto all’altro senza che si incastrino perfettamente, e tutto ciò può dare al lettore l’impressione di non cogliere il senso generale del loro discutere.
I discorsi tra Elizabeth e Sello, prima, e Dan, poi, richiedono uno sforzo al lettore per poter essere decrittati, perché quando si ha a che fare con un disturbo come quello che ha afflitto Elizabeth-Bessie – la schizofrenia – si entra inevitabilmente nel regno del simbolico, che è sì informato dalla propria vita, dalle proprie esperienze, dal proprio background, ma che, per l’assenza in questi casi di una netta separazione tra il proprio mondo interiore e quello esteriore, porta la realtà a esserne trasfigurata: la realtà “oggettiva” diviene lo specchio in cui si riflette il mondo interiore, simbolico, appunto. La difficoltà sta in questo: costantemente è richiesto al lettore di decifrare l’elemento simbolico che gli si para davanti non con le sue “lenti” ma con quelle di Elizabeth-Bessie.
I temi che trovano luogo nelle elucubrazioni di Elizabeth-Bessie sono tuttavia facilmente riconoscibili: la doppia discriminazione razziale subita da Bessie: in quanto considerata né “puramente” bianca dai bianchi né “puramente” nera dai neri, giacché «meticcia»; il senso quindi di “sradicamento”, di “non appartenenza” all’Africa che Elizabeth-Bessie sente fortissimamente; il tema del male, dell’odio nei rapporti umani che le pare essere diffuso; quello dei soprusi di chi ha “potere” ai danni di chi non ce l’ha; i temi religiosi; e tutti si fondono in un caleidoscopio di pensieri che trasformano gli stessi in chimere dell’attività mentale… In tutto questo, come il lettore scoprirà, il tema del doppio si trova a diversi livelli e il doppio è proprio il frutto di una tipica dinamica schizofrenica che vede nel meccanismo della scissione un modo usuale di “interpretare” la realtà.
Nelle parole di Elizabeth, anche se sarebbe più corretto parlare di frammenti di cui Elizabeth ci fa dono, quando non compaiono momenti di lucidità, noi assistiamo all’«incubo del suo viaggio interiore», come scrive Bessie, a questo straziante tormento che si svolge tutto interno alla mente della protagonista, che la fiaccherà e non poco, in cui si dipana la storia dell’umanità secondo una dicotomia – di nuovo compare il “doppio” – che è quella del bene e del male. Nelle idee di Elizabeth-Bessie il male è il frutto di una «questione di potere» che interessa coloro che si ritengono, o che sono, importanti; questo perché dalla sua esperienza si comprende che, coloro che erano ritenuti  importanti e avevano potere, usavano questo potere per odiare, per fare del male. Il bene, legato alle persone «qualunque», a chi si ritiene pari al prossimo e non superiore, è pure il frutto di una «questione di potere», ma di diversa natura: è il potere che proviene dall’amore, che è, nelle parole di Elizabeth-Bessie, «moltissime variazioni di un unico tema: umiltà e uguaglianza.»
Una questione di potere” è una lettura non certamente facile, ricca di simbolismi, come ho cercato di far comprendere, che non si esauriscono certo in queste mie poche parole, frammentaria e apparentemente incoerente che però, alla fine, dopo un’opera di decifratura da parte del lettore di quegli elementi simbolici, mi sembra sia in grado di regalare una coerenza al tutto che rende affascinante questo libro che rappresenta «un importante esperimento narrativo che non ha eguali nella tradizione sudafricana né europea e riversa sul lettore un ardente magma psichico cui il lettore stesso deve arrendersi, lasciandosi trascinare.»
Questo libro invero è per coloro che hanno pazienza; a costoro consiglierei la lettura di “Una questione di potere” di Bessie Head.

Matteo Celeste

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"Talvolta penso che il paradiso sia leggere continuamente, senza fine" Collaboratore di Booklandia