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Ulisse

di James Joyce –
Buon umidissimo giorno!!! Siamo sotto una pioggia torrenziale con un clima che ormai sembra uscito dai peggiori incubi di uno scrittore di fantascienza e che sta rompendo ogni argine fisico e mentale… insomma… tra il Vietnam e l’Irlanda!!!
James Joyce- Ulisse. Avete capito perché non mi sono più fatto sentire?
Ero un po’ indaffarato con questo monumento 😱
Dopo aver letto l’Odissea di Omero, quella in Genovese e quella a fumetti ci mancava giusto questa…. ed è la seconda volta che la leggo!!!
Un libro complicatissimo dal quale è difficile dare una recensione e perciò mi limiterò ad un commento e spero anche di essere conciso.
Preciso due cose:
-il libro lo avevo regalato anni fa a mio padre che poi mi aveva bonariamente maledetto 🤪
-è talmente complesso che dopo 740 pagine ha bisogno di altre 280 pagine di spiegazione!!! 😬
E veniamo a questo viaggio interiore e fisico dei tre personaggi principali attorno al quale ruota tutta la storia: Stephen Dedalus, Leopold Bloom e Molly Bloom.
Tutta la storia si svolge in un unico giorno, il 16 Giugno 1904 che è poi il giorno in cui Joyce conobbe la moglie. Un giorno e 18 capitoli; si parte dal mattino alle 6 e si arriva fino alle 2 di notte….
Ma fosse un viaggio semplice….
I due personaggi maschili costituiscono l’ossatura di tutti i capitoli ma in realtà un protagonista vero e proprio non c’è, è un continuo inseguirsi e incrociarsi di avventure, incontri e monologhi dove i due uomini, così opposti tra di loro, si cercano si assaggiano e si perdono ad ogni pagina.
Dedalus è l’alter ego letterario di Joyce e ne incarna in parte le aspettative e i pensieri; Bloom è un ebreo irlandese tradito dalla moglie che comincia vagare per le strade di Dublino in cerca di qualcosa e forse anche di se stesso; è lui il vero Ulisse della situazione.
Molly in realtà è Penelope, ma non è quella santa che stava ad Itaca ma una donna scontenta della sua vita e di suo marito che ha infatti tradito ma che ne aspetterà poi a casa il ritorno.
È una storia di estraniazione e davvero estraniante perché ogni capitolo costituisce un caso letterario a parte visto che lo stile di scrittura cambia continuamente, si va dalla narrativa semplice allo stile giornalistico, racconti quasi aulici e scherzi assurdi di scrittura sperimentale, in alcune parti sembra di assistere ad un monologo di Bergonzoni tra parole tagliate a metà o inventate di sana pianta; il capitolo finale dove la moglie rivela il suo io interiore è poi incredibile perché è senza punteggiatura…un fiume di parole dove è complicato capire il senso delle frasi e dove iniziano e finiscono.
Joyce racconta anche dell’Irlanda da quale è fuggito in esilio volontario, l’Irlanda ancora sotto la corona britannica che impone la sua lingua e ne cancella la sua cultura in nome dell’omologazione imperialistica; racconta anche delle pulsioni nazionalistiche e soprattutto della onnipresente chiesa cattolica che ne permea ogni pensiero e cancella ogni spirito critico; racconta della fame che allora costrinse più della metà della popolazione a emigrare verso gli Stati Uniti trasformando il popolo irlandese in un nuovo popolo ebreo. Racconta, si attorciglia e ritorna al punto di partenza in un viaggio caotico e psichedelico tra tormenti veri e torture personali inciampando ad ogni passo in qualcosa o qualcuno fino al ritorno a casa e anche questo non così semplice come si possa pensare.
Il libro era di mio padre, ho deciso di rileggerlo e mi sono accorto strada facendo che non ne avevo voglia ma ho deciso di finirlo in maniera ostinata perché volevo vedere dove mi avrebbe portato tra canti di sirene, ciclopi e uomini di ogni risma. Bye bye.

Ste Dussoni

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"Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza" Collaboratore di Booklandia.