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Pigmalione

di George Bernard Shaw –

Nel 1914 George Bernard Shaw finisce di scrivere “Pigmalione”, forse la sua opera più celebre, certamente tra le più rappresentate del drammaturgo irlandese. L’impostazione di base di questa commedia in cinque atti e una conclusione, che Shaw sentì di dover introdurre nelle edizioni successive per fare chiarezza sulle sorti della protagonista femminile – Liza Doolittle –, che avevano ricevuto troppe elucubrazioni (ingiustificate) da parte di lettori, spettatori e sceneggiatori, non manca di far sentire il suo debito al teatro di Ibsen.
Seguendo proprio la sua lezione, Shaw pone nella sua commedia (come nel resto del suo teatro) l’accento sul «dibattito delle idee», più che sull’«azione tradizionalmente intesa». Il suo teatro, perciò, affronta i «problemi di fondo della società:

Ritengo che buona parte della morale corrente per quanto riguarda i rapporti economici e sessuali sia profondamente sbagliata… Scrivo commedie con il preciso intento di convertire il Paese alle mie idee”».

 “Pigmalione” è una commedia, certo, ma con una profonda impronta di critica sociale in cui il progressismo fabiano di Shaw che la nutre è più che evidente, laddove manifesta l’intento di «sdialettizzazione» della protagonista per farla elevare di ceto sociale; questa commedia è, per usare ancora le parole di Shaw, «profondamente, deliberatamente didattica».  
La trama è semplice: il professor Higgins, esperto di fonetica, e il colonello Pickering, pure lui esperto di fonetica, fanno una scommessa che ha per oggetto «questa creatura con il suo inglese da marciapiede: l’inglese che la terrà nel fango fino alla fine dei suoi giorni», ossia Liza Doolittle, la quale, popolana, vende fiori per strada. Ebbene, la scommessa è la seguente: in sei mesi il professor Higgins deve trasformare Liza da fioraia di strada a duchessa o, detto altrimenti, con le parole ciniche e sferzanti di Higgins: «Io farò una duchessa di questo spurgo di fogna». Ora, questa trasformazione non può che aver luogo attraverso le buone maniere e soprattutto attraverso un mutamento nel linguaggio di lei. Esso, generalmente parlando, definisce la classe sociale di appartenenza e attesta, oltre che accentuarle, le distanze sociali tra chi, per estrazione sociale, ha potuto e chi non ha potuto “migliorare il proprio eloquio”, ossia la propria condizione sociale. Insomma, la lingua non fa che mostrare la sua «natura classista». 
È lo stesso Higgins, infatti, che chiarisce quanto è stato detto sopra quando afferma:

«Non hai idea di quanto sia interessante prendere un essere umano e trasformarlo in un individuo completamente diverso, fornendogli un nuovo linguaggio. Significa riempire il profondissimo baratro che separa classe da classe e psiche da psiche». 

C’è, a mio avviso, un altro punto che merita di essere esplicitato. 
Nella parabola di Liza Doolittle, nel fatto cioè che lei riesce ad acquisire caratteristiche peculiari delle classi più agiate (il curato e bell’eloquio, i modi cortesi e signorili, etc.), Shaw vuole mostrare secondo me due cose: 1. che tutti hanno la possibilità di elevarsi socialmente e 2. che quelle qualità che connotano le persone delle classi sociali più elevate non sono loro esclusive, ma sono “ottenibili” da tutti coloro che si impegnano ad acquisirle, quindi il sentimento di superiorità di cui fanno sfoggio i più abbienti, che sembra provenire dal possedere le stesse, è assolutamente fuori luogo e ingiustificato.
Dunque, se da un lato c’è uno sprono, per così dire, a elevarsi socialmente, dall’altro c’è una critica sociale a quella parte di società che “guarda dall’alto in basso” o con “snobismo” coloro che non presentano quelle qualità che la “crème della società” riconosce in sé stessa. 
Ho trovato quest’opera molto interessante e anche più affascinante delle trasposizioni cinematografiche che ho potuto vedere, in cui, a mio parere, non viene dato il debito risalto a questi elementi di critica sociale.  Insomma, è un’opera che ancora oggi merita di essere letta e che non ha perduto la sua importanza e, mi verrebbe da dire, la sua attualità. 
Il traduttore è Francesco Saba Sardi.

Matteo Celeste

Pigmalione
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"Talvolta penso che il paradiso sia leggere continuamente, senza fine" Collaboratore di Booklandia