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Pablo Escobar. Il padrone del male

di Juan Pablo Escobar –
Si viene al mondo e non si sceglie di chi essere figli. A Juan Pablo è capitato di essere il figlio del più grande narcotrafficante del pianeta.
E’ cresciuto navigando letteralmente nell’oro. La “casa” di famiglia era una tenuta di circa 3000 ettari (un campo di calcio regolamentare è circa 0.7 ettari) con dieci abitazioni con decine di stanze ciascuna, strade, sei piscine, 27 laghi artificiali, un distributore di benzina autonomo, una pista di atterraggio per aerei di mille metri, due eliporti, hangar, la pista di motocross più grande di tutta l’America Latina e un giardino esotico che includeva palme e stalle con i cavalli.
Inoltre non potevano mancare un’arena per i tori, macchine da corsa, moto d’acqua, motociclette per giri turistici e un importante zoo, con rinoceronti, elefanti, cammelli, ippopotami, zebre, giraffe, gru, impala, cervi, tapiri, canguri, fenicotteri, struzzi e una coppia di pappagalli neri unici al mondo nonchè un parco preistorico con dinosauri in scala reale.
Così, per dire.
I cioccolatini della sua prima comunione furono fatti arrivare appositamente dalla Svizzera con il jet privato del papà.
A 11 anni il pargolo possedeva una collezione di circa 30 moto da corsa e 30 moto d’acqua.
A 13 anni la sua cameretta era un bilocale con bar, tappeti di zebra e un trono.
Le tovaglie la mamma le faceva arrivare da Venezia e le posate da una nota fonderia di argento danese cui non sembrò vero di ricevere 400.000 dollari per un unico ordine.
A Capodanno solo per i fuochi d’artificio fatti arrivare dalla Cina si spendevano 50.000 dollari e con gli amici si organizzava un campionato di tennis privato il cui primo premio era un’automobile.
Nel 1990 (a 13 anni) fu spedito dal padre in Italia a vedere la nazionale colombiana che partecipava ai Mondiali di Calcio ma insieme alle sue guardie del corpo soggiornò a Losanna, in Svizzera, perchè gli hotel italiani non erano reputati soddisfacenti.
Era un ragazzino cui veniva detto che se da grande voleva fare il medico gli avrebbero comperato il miglior ospedale dove lavorare.

Ovviamente era tutto frutto del lavoro di papà, di professione narcotrafficante, considerato il criminale più ricco in assoluto con un patrimonio stimato di oltre 40 miliardi di dollari nei primi anni novanta e che, quando il suo impero raggiunse la massima espansione, la rivista Forbes stimò che fosse il settimo uomo più ricco del mondo, controllando l’80% della cocaina del pianeta e il 20% delle armi illecitamente circolanti.
Ovviamente siccome solo i migliori entrano in politica ci fu spazio anche per lui che venne eletto deputato al Congresso della Repubblica.
E fu, per inciso, l’inizio della sua fine perchè entrò in una mafia peggiore di quella che comandava lui.
Poteva durare tutto questo?
Ovviamente no.
Corruzione, sequestri, omicidi erano i suoi strumenti di lavoro.
Il metodo delle autobombe per compiere assassinii più o meno mirati fu acquisito dalle tecniche adottate da Totò Riina. Il made in Italy trova sempre il modo di imporsi nel mondo.
Guerra contro gli altri cartelli della droga, guerra contro lo Stato, guerra contro i parenti. Fughe. Nascondigli e vita da braccato furono il proseguo per il boss e ovviamente per la sua famiglia, compresi i bambini.
Nel 1991 Escobar si consegnò spontaneamente alle autorità colombiane per evitare l’estradizione negli Stati Uniti, giungendo ad un accordo con il governo della Colombia: in pratica in cambio della deposizione delle armi gli fu concesso di costruirsi la prigione dove scontare 5 anni di confino. Ovviamente lui si costruì una “prigione” privata di lusso, chiamata La Catedral, con sale biliardo e annesso campo di calcio dove lui stesso invitò a giocare la nazionale di calcio colombiana!
Anche Maradona fu invitato e descrisse il posto come un Hotel di lusso di Dubai.

Non finirà bene, ormai si sa. E’ storia.
Ma può uno dei peggiori criminali del mondo essere un buon padre e un buon educatore? Sembrerebbe di si dalle dichiarazioni del figlio Juan Pablo. Non solo era un padre presente, persino durante la clandestinità, ma lo obbligava anche a portare montagne di regali ai bambini delle zone più povere. Ovviamente ci andavano in elicottero ma da nato povero qual era non dimenticò mai i più svantaggiati diventando un grande benefattore della società, costruendo scuole, case e centri sportivi che lo Stato non costruiva.
Era un papà che invitava il figlio a studiare, a essere una persona migliore e non un bandito come lui. Gli diceva che il vero coraggioso era colui che non usava le droghe e che la cocaina era un veleno da vendere e non da usare.
Guardate su Youtube l’intervista delle Iene a Juan Pablo Escobar: è illuminante. Quest’uomo di ormai 42 anni, che ha voluto cambiarsi anche il cognome, che fa l’architetto, che critica Netfix e la serie Narcos perchè induce nei giovani un senso di emulazione verso le attività criminali, che è in fondo un sopravvissuto aspira a quella cosa che tanti di noi sbuffando critichiamo.
Una normale vita normale.
“Essere miliardario una seconda volta non mi interessa: la prima non mi è sembrata così buona”.

Gerardo Capaldo

Pablo Escobar

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