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Microfictions

di Régis Jauffret –
Incaricarsi di presentare “Microfictions” di Régis Jauffret è un compito faticoso e impegnativo per almeno tre ragioni:
1. si deve riuscire a dare l’idea del contenuto di un libro voluminoso (1018 pagine) in meno di 1018 pagine!;
2. si deve fare i conti con il carico emotivo che ha richiesto l’averlo letto;
3. si può rischiare di toccare corde troppo sensibili, giacché il modo in cui Jauffret tratta i temi di questi “microracconti” è tale da essere cinico, irriverente e profondamente “politically un-correct”, e di questo, credo, una buona presentazione dell’opera deve darne conto.
Questo libro l’ho immaginato come uno specchio frantumato in una casa oramai diroccata. Quei singoli frammenti di vetro sparsi riflettono le vite di uomini e donne che occupano uno spazio nel mondo, che vivono un’esistenza con lo stesso trasporto di un condannato a morte che si dirige verso il luogo della propria esecuzione; è a tal punto tragica, per certi versi, la loro esistenza che, se la incontrassero all’angolo della strada, la obbligherebbero «a chiedere [loro] perdono in ginocchio.»
Non che i protagonisti di questi microracconti siano degli stinchi di santo: per la maggior parte, essi sono degli inguaribili egoisti, dei mediocri, sempre pronti a volgere le cose a loro favore; emergono, dai vari racconti, senza difficoltà, «le loro personalità marcie.»
Il libro sembra presentare, per menzionare due titoli di racconti per me eloquenti, de “La rozza massa dell’umanità” “Una scadente idea dell’umanità”.
Ciò che è chiaro dalla lettura dell’opera di Jauffret è l’idea che «la vita non è un paese dei balocchi» e i momenti di felicità, semmai si presentassero, sono effimeri, caduchi, e nonostante le cose stiano così, sembra dirci l’autore, «la nostra lingua manca di termini appropriati e discreti per esprimere l’infelicità», quell’infelicità non volatile, ma profonda, esistenziale, dell’“essere-al-mondo”, che vorrebbe suggerirti di scappare, ma non c’è strada che puoi percorrere che possa allontanarti da questo stato di cose, dalla tua inaccettabile quotidianità.
Ecco, la maggior parte dei protagonisti di “Microfictions” sono persone immerse in una frustrante vita che dà loro la sensazione di inadeguatezza, di trovarsi in un punto (spaziale e/o temporale) in cui non avrebbero dovuto trovarsi, come quell’unico tassello di un mosaico che è stato posizionato in modo storto rispetto a tutti gli altri. Ora, di fronte a questa idiosincrasia la soluzione è duplice: o affidarsi al sesso, all’eros, come strumento per deviare quell’infausto corso che è la loro vita, così da sentirsi più idonei, meno “storti”, ancorché questo stato di cose non potrà che essere temporaneo, gioco forza, e raramente porta a risultati “di lungo periodo”, o, più drasticamente e “soddisfacentemente”, affidarsi alla eradicante morte, a thanatos, laddove questa scelta, spesso, contempla il togliersi la vita o il toglierla a coloro che si ritengono, in qualche modo, responsabili o potenziali vittime di quella loro grama vita.
E sullo sfondo, dietro al palcoscenico occupato dalle sballottate vite di uomini e donne infelici in modo radicale, si intravedono i problemi sociali che l’occhio dell’autore coglie con precisione chirurgica e che non fanno che connotare in termini ancora più cupi e cinici di quanto dalle sole esistenze dei protagonisti non traspaia il micro-mondo che questo libro ci presenta.
L’opera in questione, nei modi in cui dà risalto e “cittadinanza” alla «scatola nera dei propri fantasmi», penso possa essere definita come un requiem scritto in 500 microracconti di due paginette ciascuno per l’idea della vita felice e spensierata.
Di un libro si può dire che “non è per tutti” – frase di un’infelicità indescrivibile, per me –, però non è questo il caso di “Microfictions”; esso è più il caso che mi fa dire a ragione, compiendo un’opportuna parafrasi, che questo libro “non è per tutti gli stati d’animo”. Valutate quindi questo aspetto, perché è certo che il libro non vi potrà dare conforto, in questo caso.

Matteo Celeste

Microfictions

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"Talvolta penso che il paradiso sia leggere continuamente, senza fine" Collaboratore di Booklandia