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Le ore

di Michael Cunningham –
C’è qualcosa di profondissimo in questo libro. Così tanto profondo che, nonostante sia da un bel po’ che ne ho terminato la lettura, non avendo scritto alcunché su di esso, sino ad ora mi è rimasto quel vago, persistente e ineliminabile seppur flebile e debole sentore che qualcosa avrei pur dovuto scriverla. Ed eccomi dunque qui a farlo, a ripagare quello che mi pareva essere un debito nei suoi confronti.
Il libro in questione, Premio Pulitzer nel 1999, è “Le ore” di Michael Cunningham.
In questa opera s’intrecciano le vite di tre donne che appartengono a tre luoghi e tempi differenti: Virginia Woolf, certamente l’unica famosa tra le tre, di cui noi conosceremo le sue ultime ore di vita, impegnate nelle preoccupazioni che attanagliano una mente che ha già deciso fermamente di deporre le armi, di concedere la resa a quel disturbo psichico che, ritornato prepotente e implacabile a dare segni di sé, porterà la scrittrice a riempirsi le tasche di sassi e a gettarsi nel fiume Ouse ponendo così fine alla sua vita; Laura Brown, donna, moglie e madre non più appagata dalla sua “perfetta” e monotona, noiosa vita familiare negli americanissimi anni ’50 e che trova come mezzo d’evasione da quella troppo ordinaria e stantia esistenza la lettura di “Mrs Dalloway” – che tra l’altro si sarebbe dovuto intitolare proprio “The Hours” [“Le ore”] –; infine, Clarissa Vaughan, una editor newyorkese di oggi, che è impegnata a preparare una festa per un suo amico – il suo migliore amico, Richard – che ha vinto un prestigioso premio artistico; amico che, sin dal college, ha appioppato a Clarissa il nomignolo di “Mrs Dalloway”, per le somiglianze tra lei e il personaggio del romanzo woolfiano.
I punti in comune tra queste tre protagoniste sono diversi: intanto di esse non ci verrà narrata tutta la vita, ma alcune ore, che, in omaggio proprio alla Woolf, Cunningham dilata, rendendole voluminose, facendo sì che queste ore occupino idealmente più spazio di quanto comunemente la gente potrebbe essere portata a pensare. Quante parole, infatti, piani, pensieri, emozioni, sentimenti, impressioni, dubbi sono in grado di riempire la nostra mente in alcune ore? Quante ore possono parere lunghe e intense quante una vita intera e quante vite possono essere lunghe e intense quante delle ore?
Certamente vi è poi l’intreccio con Virginia Woolf e il suo romanzo: lei ne è l’autrice, Laura legge proprio “Mrs Dalloway” e Clarissa, come già scritto prima, viene soprannominata proprio “Mrs Dalloway”.
Vi è però una connessione più profonda tra Virginia, Laura e Clarissa: c’è in ciascuna delle tre un senso di inadeguatezza, mi pare, del tutto particolare, come di chi è consapevole delle svolte che la propria vita ha compiuto e sa, lo sa per certo, è una sensazione così solida e tangibile quanto quella sedia sulla quale siete seduti, che molte di quelle svolte compiute hanno condotto a quel preciso attimo, a quell’infinitesima porzione di tempo, paragonata a tutta una vita, in cui al contempo si mette in discussione la propria vita e la si giudica incontrovertibilmente con una sentenza espressa senza appello, e in modo negativo.
La profondità del romanzo, dalla quale sono stato colpito e che menzionavo all’inizio, è quella legata indissolubilmente alla reale complessità della vita che è in grado di rappresentare, di descrivere, alle innumerevoli sfumature della vita stessa, siano esse chiare o scure, che è in grado di ricreare nelle sue pagine. In questo romanzo «misteriosamente bello», come recita la quarta di copertina, attraverso questi tre personaggi dietro cui Cunningham ha “scavato delle belle caverne”, come avrebbe detto la Woolf, ossia dietro cui vi è «umanità, umorismo, profondità», viene messa in scena la complessità della vita, nei suoi turbamenti, nelle sue preoccupazioni, nelle sue gioie, nelle sue sofferenze, nei suoi amori, nelle sue scelte, nelle sue prevedibili o imprevedibili, giuste o sbagliate, amate od odiate svolte. È questo, a mio avviso, a renderlo davvero grande.
Sarebbe un vero peccato, quindi, se vi perdeste tutto ciò…

Matteo Celeste

Le ore

Isabella Ferrari legge “Le ore” di Michael Cunningham
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"Talvolta penso che il paradiso sia leggere continuamente, senza fine" Collaboratore di Booklandia