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La luna e sei soldi

di W. Somerset Maugham –
È il racconto, fatto da chi lo ha «conosciuto più intimamente di moltissimi altri», della vita di Charles Strickland, o, almeno, di un suo periodo ben preciso: quello che va dal suo essere un agente di cambio londinese, apparentemente e inizialmente quasi insignificante, privo di qualcosa fuori del comune, al giorno in cui, una volta gettata la sua pirandelliana maschera, abbandona tutto ciò a cui prima si era abituato e si rivela per quello che è: un burbero, becero, insensibile, disumano, detestabile, immorale, ma geniale artista – un pittore, per la precisione –, la cui genialità, come delle volte accade, gli sarà riconosciuta postuma, e, per ciò, in vita, povero, sarà costretto costantemente a sbarcare il lunario.
In queste poche righe si potrebbe esaurire la trama de “La luna e sei soldi” di William Somerset Maugham. Ma, appunto, la trama. Vi è qualcosa in più, che sfugge a una descrizione primaria, superficiale, quale può essere quella che viene data in una trama.
Innanzitutto, il linguaggio di Maugham: esso è poetico, leggero, attraente, fluido, come se si fosse condotti dolcemente dalla corrente di un piacevole fiume, attorniati da un panorama “pittoresco”, paradisiaco e al contempo così espressivo, da rimanerne incantati, abbagliati per la bellezza che ci parrebbe non aver mai veduto e mai creduto prima potesse essere di tale misura; e intanto, inesorabilmente, la corrente ci conduce innanzi e, in un batter d’occhio, ci ritroviamo alle soglie di profonde cascate che ci avellono dalla narrazione: tutto è finito, il libro è finito. È l’arricchimento inestinguibile che traiamo da tutto ciò, che è divenuto nostro per sempre, a non farci rattristare, dunque.
Il suo linguaggio, in definitiva, mi è parso essere un connubio amabile di tre stili espressivi di tre scrittori che amo e che hanno suscitato in me le stesse sensazioni suscitatemi dallo stile espressivo di Maugham: Edward Morgan Forster, Thomas Mann, Oscar Wilde.
Vengo così a parlare di Charles Strickland che, nonostante assuma poi un carattere detestabile, corollato da una completa indifferenza per tutto e tutti, eccetto che per la propria arte, e una disumanità davvero irritante, diviene in realtà, oltre che l’interessante personaggio e protagonista di un romanzo, anche la personificazione dell’artista che dedica la propria vita, interamente, all’arte. Sì, perché questo romanzo pullula di considerazioni sull’arte e sugli artisti e pone, inframmezzate al racconto in modo sapiente e mai inappropriato, domande non banali sugli stessi soggetti: l’arte e gli artisti. Allora, la vicenda di Charles Strickland diventa la vicenda che, con diverse forme, accomuna tutti gli artisti, quell’impulso cioè che, giungendo all’apparenza in modo inaspettato, ma esito in realtà di una miriade di moti inconsci, spinge infine e coraggiosamente la persona a fare quello che veramente ama, anche se, come accade al protagonista, questo atto portasse a sacrificare davvero tutto quanto si aveva prima.
E così, man mano che si procede nella lettura, in lui, in chi racconta la storia, e in voi s’insinuano tremende le domande: perché ha scelto di fare il pittore? Che cosa lo ha spinto a sacrificare quanto aveva per intraprendere una carriera che – ripeto – lo fa vivere miseramente? A ciascuno di voi lascio il tentativo di dare risposte a queste domande.
Anche per l’arte, come ho cercato di dire, in questo romanzo, vi è un interesse, e questo talune volte sembra avere un afflato più ampio, più generale che non meramente legato a quella di Strickland. Così si ritrova, proprio nelle prime pagine, una frase sull’arte, che mi trova pienamente d’accordo, espressa sotto forma di pensiero del narratore, che recita: «Non posso essere d’accordo con quei pittori i quali affermano altezzosamente che il profano non può comprendere nulla di pittura e che per lui il modo migliore di apprezzare i loro lavori è stare zitto e tirar fuori il libretto degli assegni. È un equivoco grottesco quello che vede nell’arte una tecnica perfettamente comprensibile solo al tecnico: l’arte è una manifestazione emotiva, e l’emozione parla un linguaggio che tutti possiamo intendere.»
È con questo libro che ho potuto conoscere William Somerset Maugham e ora egli è entrato a buon diritto nel mio pantheon di scrittori preferiti. Senza alcuna esitazione, quindi, ne consiglio la lettura.

Matteo Celeste
P. S.: La traduzione è di Giorgio Monicelli.
P. P. S.: Quella raccontata nel libro è la vita romanzata di Paul Gauguin.

La luna e sei soldi
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"Talvolta penso che il paradiso sia leggere continuamente, senza fine" Collaboratore di Booklandia