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Giorni tranquilli a Clichy

di Henry Miller –
Capita a volte di leggere un libro crudo, scomodo, politicamente scorretto ma se a scriverlo è un soggetto che risponde al nome di Henry Miller, si può già immaginare quale sarà la direzione verso la quale si orienterà il disagio: un erotismo narrato da un punto di vista maschile e maschilista come solo lo scrittore statunitense riusciva a mettere sul foglio dattiloscritto.
Superato però il disagio di un tema che oggi nessuno oserebbe più affrontare in questi termini, per la stessa ammissione dell’editore dichiarata nel risvolto, rimangono passaggi, frammenti, interi paragrafi di pura poesia scritti come soltanto un autore di grande calibro è capace di fissare fra le pagine di un romanzo:

“… come un corridoio che Dio aveva tracciato con il mignolo per ricordare agli uomini che dopo aver appagato la loro insaziabile sete di sangue, dopo essersi stancati di lottare, qui avrebbero trovato quiete e riposo.”

Giorni tranquilli a Clichy racconta le vicissitudini di due scrittori americani squattrinati nella Parigi di fine anni ‘20, lo stesso autore e l’amico Carl, fra incontri con professioniste del sesso e rocambolesche imprese per procurarsi denaro in prestito da scialacquare immediatamente in cene e bevute, festini e orge, risate isteriche e sdegnosi rifiuti di condividere il desco con simpatizzanti delle nascenti idee antisemite provenienti dalla vicina Germania.
Il rapporto dei due con le donne è ambiguo e ambivalente: da una parte un puro utilizzo sessuale che spesso per loro stessa ammissione lascia un sapore amaro in bocca, dall’altra una profonda ammirazione per l’essere femminile che riesce a vivere liberamente la propria vita come la propria sessualità, quasi un senso di invidia per la possibilità di essere se stesse:

Nessun tarlo le rodeva la coscienza, non c’erano preoccupazioni che non potesse scrollarsi di dosso. Lasciarsi trasportare dalla corrente, niente di più. Non avrebbe fatto figli, non avrebbe contribuito in alcun modo al benessere della comunità, non avrebbe lasciato alcuna traccia nel mondo. Ma ovunque fosse andata, avrebbe reso la vita più facile, più interessante, più fragrante. E questo non è poco. Ogni volta che la lasciavo avevo la sensazione di aver speso bene la giornata. Avrei voluto prendere anch’io la vita con la stessa naturalezza e con la stessa facilità.”

Accanto a tutto questo c’è poi la Parigi di quegli anni: romantica, sensuale ma anche oscura, nei suoi tratti nascosti:

“Di notte, vista da Montmartre, Parigi è davvero magica; giace in una conca come un’enorme gemma scheggiata.”

Una gemma scheggiata che non si vergogna di mostrare le proprie ferite, narrata attraverso gli occhi di un uomo che riesce ad amarla pur conoscendone i difetti e le bassezze di cui è capace, una città in grado di soffrire ma anche di dare momenti di appagamento pur nel suo tratto decadente:

“Sì, un gran giorno. Parecchi, in verità. Sì, solo pochi giorni prima eravamo seduti qui, a chiederci dove andare. Poteva essere ieri o un anno fa. Che differenza faceva? Uno va sotto pressione e poi collassa. Anche il tempo collassa. Le puttane collassano. Tutto collassa. Collassa con un colpo secco.”

Questa è la Parigi di Henry Miller, una Parigi spesso presente nei suoi romanzi, una città che lo ha modellato e costruito nel suo essere scrittore e forse, nonostante il suo ritiro volontario nell’isolamento di Big Sur in California, lo scrittore americano non ha mai lasciato veramente quella città entratagli nel cuore. Ci sono molti motivi per leggere questo libro, per l’erotismo, per Parigi ma soprattutto per la poesia che traspare in filigrana inaspettatamente, quasi a sfidare il lettore a trovare un respiro diverso fra un’avventura erotica e l’altra, quasi che quegli intermezzi sensuali non fossero altro che pretesti per sorprendere il lettore sulla vera natura del racconto.

Lei tacque di nuovo. Continuammo a camminare per un altro isolato in un silenzio eloquente, e infine, quando imboccammo una strada insolitamente buia, lei mi strinse più forte il braccio e sussurrò: «Per di qua». Lasciai che mi conducesse in fondo alla strada. La sua voce si fece roca, le parole le uscivano di bocca precipitosamente. Non ho il minimo ricordo di quello che disse, e penso che non lo sapesse neppure lei.”

Il volume è corredato dalle splendide fotografie ad opera di Brassaï, fotografo ungherese amico di Henry Miller che condivise con lui i vagabondaggi notturni nella capitale francese.

Roberto Maestri

Giorni tranquilli a Clichy
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"Leggendo cerco me stesso". Collaboratore di Booklandia