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Amras

di Thomas Bernhard (traduzione di Magda Olivetti) –
Capita, a volte, di tornare a un autore come si torna a trovare un vecchio amico. Questo è per me leggere Thomas Bernhard. È come riprendere un discorso lasciato a metà, dirsi “cosa stavamo dicendo l’ultima volta?” e proseguire il discorso come se non ci fossero state interruzioni. Questo è per me leggere Bernhard e il suo libro, Amras ripubblicato di recente da Einaudi, mi ha fatto rivivere esattamente tutto questo.
Secondo racconto o romanzo breve in ordine di pubblicazione per lo scrittore austriaco, i cui primi abbozzi di stesura risalgono al 1962, mentre la stesura finale si colloca fra maggio 1963 e l’inizio di aprile del 1964, Amras è uno di quei libri difficili da incasellare in una categoria narrativa. L’autore mescola magistralmente stili differenti: narrazione, diario, epistolario, aforismi, monologo interiore. Ed è proprio attraverso uno degli aforismi a un certo punto citati che si potrebbe descrivere in sintesi quanto narrato in prima persona da uno dei protagonisti della vicenda:

“La tragedia, la tragedia della tragedia, che è sempre un tentativo di tragedia”

Perché di tragedia o meglio, di tragedie concatenate si tratta. Il suicidio programmato di un nucleo famigliare al completo, padre, madre e i loro due figli, riuscito soltanto a metà e dal quale sopravvivono i due ragazzi. La loro segregazione in una torre ad opera dello zio, per salvarli dal sicuro internamento in ospedale psichiatrico, trattamento riservato secondo le leggi di allora agli aspiranti suicidi. La vita dei due fratelli costretti a convivere a stretto contatto dopo il trauma del loro tentativo fallito ma anche quello della perdita simultanea di entrambi i genitori, la presenza della malattia per uno di loro che finisce necessariamente per condizionare l’esistenza di tutti e due.
Tutto farebbe pensare a una lettura pesante, cupa, al limite del gotico e invece la maestria di Bernhard conduce per mano il lettore con insospettata leggerezza a scavare dentro l’animo del narratore, a percorrere i sentieri della psiche messa nudo nelle sue riflessioni.
Il libro si legge d’un fiato, sono 87 pagine in tutto e il colpo di scena finale ripaga di tanta mestizia introspettiva.

Roberto Maestri

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"Leggendo cerco me stesso". Collaboratore di Booklandia